giovedì 18 febbraio 2010

Lettera aperta a S.E. Rev.ma Mons. Bruno Forte

Eminenza Reverendissima,

Mi chiamo G.P., e abito in un piccolo paese della Sua diocesi.
Molto probabilmente è già a conoscenza della situazione nella quale, insieme a me, si trovano molti miei concittadini: le nostre proprietà sono gravate da un canone enfiteutico, che negli ultimi tempi è stato oggetto di una rivalutazione da parte dell'Istituto per il sostentamento del Clero dell'Arcidiocesi di Chieti - Vasto.
Tale rivalutazione ha aumentato i canoni di centinaia di volte.
Non credo di essere la persona più titolata a spiegarle di cosa si tratta, ma è bene che provi a sintetizzare i termini della questione a beneficio dei lettori di questa lettera aperta.
Il vincolo che grava sui nostri terreni risale a periodi nei quali ai contadini che lavoravano la terra non era lasciata molta scelta: i tributi dovuti ai signori o al clero erano un'ingiusta vessazione che affamava intere famiglie.
Converrà con me che è un bene che quei tempi siano passati, e che la terra sia stata restituita a chi la lavora e la abita.
Da quei tempi la Chiesa ha perso la condizione di Stato secolare, riconquistando in pieno quella di autorità morale e guida spirituale, per tutti gli uomini e le donne che sentono dentro di loro il richiamo della fede cristiana.
È quasi incredibile che il residuo di un balzello medievale, che ha taglieggiato i contadini per secoli, sia ancora presente ai nostri giorni.
L'assurdo dei questa situazione è che i terreni sono stati da noi acquistati già gravati dal vincolo: nel caso dei miei genitori, per risparmiare il denaro sufficiente sono stati necessari quasi dieci anni (dal 1960 al 1969) di duro lavoro da emigranti dall'altra parte del globo.

Noi abbiamo due colpe: la prima è non aver riscattato i terreni quando ci era possibile. Il ragionamento fatto dai miei (e dai miei concittadini), è stato più o meno questo: si tratta di un piccolo tributo (allora), e riscattarlo ci costa comunque una cifra consistente che preferiamo utilizzare per investire nella nostra attività. Inoltre molti di loro erano devoti, e ritenevano meritorio contribuire al sostentamento del Clero. Mai avrebbero pensato che un domani questa considerazione avrebbe avuto ripercussioni sui loro figli: se lo avessero saputo (e se avessero saputo che la nostra sarebbe stata la prima generazione dal dopoguerra con condizioni economiche peggiori di quelle dei propri genitori) forse avrebbero riscattato subito le loro proprietà dal vincolo. In ogni caso noi oggi ci troviamo a scontare questa colpa dei nostri padri, e mi creda, non è una bella sensazione.
La seconda colpa è essere cittadini di uno Stato, che per ingnavia, convenienza e ipocrisia non riesce a separare gli ambiti di Dio e di Cesare: per quanto ne so, i canoni enfiteutici non cadono in prescrizione per il semplice fatto che sono dovuti ad una istituzione, la Chiesa, che lo Stato considera, probabilmente a ragione (non sta a me giudicarlo), privilegiata; purtroppo però i privilegi sono tali anche quando gli interessi (materiali) dell'istituzione contrastano con quelli dei cittadini dello stesso Stato.
Probabilmente ci sono leggi e sentenze che ci mettono dalla parte del torto: io però mi sto rivolgendo ad un uomo di Chiesa, e non credo di scrivere un'eresia affermando che le leggi degli uomini non sempre sono giuste: e questa oggettivamente non lo è.

Nel mio caso si chiede di corrispondere ogni anno una cifra quasi pari al mio stipendio mensile, e a quanto pare la cifra potrebbe essere oggetto di ulteriori aumenti a discrezione dell'IDSC, probabilmente fino a due o tre volte tanto. Il riscatto della mia quota va da un minimo di circa ventimila euro, ma da quello che ho capito potrebbe arrivare anche qui a tre, quattro volte tanto.
Ho avuto modo di leggere le precisazioni dell'IDSC, apparse su “Il Nuovo Amico del Popolo” del 25 ottobre 2009, che affermano che "l'Arcivescovo e la curia di Chieti-Vasto non c'entrano assolutamente niente circa tale questione". Io però non credo all'estraneità della curia: l'Istituto per il sostentamento del Clero si occupa dell'istituzione di cui lei è la massima autorità: non credo sia possibile che lei non possa intervenire, e cercare di capire le ragioni dei fedeli e dei cittadini che si trovano in questa situazione.

Infine Le faccio una semplice domanda: quanto crede che possano contribuire tali avvenimenti ad avvicinare le persone alla Chiesa?
Il Santo Padre ha avuto molte buone parole negli ultimi tempi per i lavoratori toccati dalla crisi economica globale: quanto crede che queste parole possano risultare ancora opportune e sincere alle mie orecchie e a quelle dei miei concittadini (e anche a tutti coloro che leggono queste righe) quando un istituto molto vicino alla Chiesa tenta operazioni, me lo lasci dire, di volgare estorsione, ai danni di onesti lavoratori: non di quei ricchi che non passeranno mai dalla cruna dell'ago, ma lavoratori.

Molte delle persone con cui ho parlato di questa storia, mi hanno messo in guardia con frasi del tipo "non potete mettervi contro la Chiesa, è troppo potente", oppure "è una causa persa, vi conviene abbozzare e pagare", o ancora "non riuscirete mai ad avere ragione delle collusioni e degli intrecci tra Stato e Chiesa".
La tentazione di abbandonarsi a questi pensieri, che in una certa misura sono anche consolatori, è molta. Forse mi illudo, ma sono sicuro che alla fine si riconoscerà l'ingiustizia su cui si fondano le pretese dell'IDSC.

Le leggi e le sentenze degli uomini si possono cambiare: il principio universale di Giustizia no. Alla fine potrei anche perdere: cosa perderei dopotutto, una casa? Un terreno?
In quel caso lavorerò affinché la mia sconfitta diventi la testimonianza di un assetato di Giustizia.

Aggiornamento: questa la risposta, a mio avviso abbastanza ipocrita, che ho avuto a suo tempo sulla mail:
"L'Arcivescovo ringrazia per la lettera aperta. Ricorda che l'Istituto per il Sostentamento del Clero è una struttura a carattere nazionale, pur avendo sedi nelle varie Diocesi, e segue regole e legislazioni dello Stato. La prega perciò di rivolgersi al Presidente, Dr. Rabottini, a cui comunque segnalerà la cosa. La ricorda al Signore insieme ai Suoi."

domenica 14 febbraio 2010

Tutto quello che c'è da sapere

Dato che la questione sta andando per vie legali, per ora qui non scriverò altro; mi limiterò a considerazioni da dilettante su un tema, quello dei rapporti tra Stato, cittadini e Chiesa, per il quale ho sempre avuto un certo interesse.
In ogni caso lo scopo del blog è quello di far conoscere questa storia al numero più alto possibile di persone.
Non è solo un problema mio e della mia famiglia, ma è un intero paese ad essere oggetto di questa incredibile estorsione legalizzata.
Ciò che ho scritto negli articoli precedenti e in questa pagina riassuntiva, è più o meno tutto quello che c'è da sapere per farsi un'idea della situazione dal mio punto di vista: non esitate a inserire nei commenti le vostre considerazioni, eventuali precisazioni o qualsiasi indicazione possiate ritenere utile.
Fino ad ora la notizia non ha valicato i confini regionali; io ho scritto a diverse testali nazionali, sperando che qualcuna di esse possa divulgare la notizia in ambiti meno angusti.
So che c'è chi si sta occupando della cosa anche a livello politico, ma quello che manca è la cassa di risonanza dei media: sono sicuro che questa storia può essere interessante anche al di fuori della mia regione.

sabato 13 febbraio 2010

Conferme

Cercando in rete ho trovato un articolo (questo è il link) che conferma più o meno quanto da me riportato nei miei post precedenti.
Ne riporto qui un ampio stralcio.

[...]
È il 2002, grazie ad un provvedimento di legge di qualche anno prima (grazie al primo governo Prodi o al primo governo Berlusconi, non so), in Italia, soprattutto al centro-nord, iniziano ad arrivare delle cartelle di pagamento “impazzite”. Qualcuno urla sbigottito: “questa è una truffa, una banale truffa, finirà a tarallucci e vino”. Le varie lettere portano tutte la dicitura dell’Istituto Diocesano Sostentamento Clero diciamo competente per territorio.
Vivo il tutto con i miei primi articoli, raccogliendo testimonianze di famiglie spesso disperate. Sono alle prime armi, ma capisco subito che non c’è alcuna truffa. E’ un triste risveglio che nel silenzio dei media e grazie alla complicità dello stato colpirà molte famiglie ignare del tutto.
Siamo nel 2002, l’8 per 1000 accusa “qualche” flessione, la Chiesa come spesso accade necessita di soldi, tanti soldi. Si rispolvera, si riabilita un vecchio diritto, un “cavillo” rimasto in fieri e non estinto: l’Enfiteusi. Trattasi di un diritto reale di godimento su beni immobili (quindi anche terreni), della stessa famiglia dell’Usufrutto. Il contenuto del diritto dice esattamente: “L’Enfiteusi attribuisce al titolare del godimento detto enfiteuta, il diritto di godere, in perpetuo o a tempo determinato, comunque non inferiore a 20 anni, di un fondo-terreno di proprietà altrui (in tal caso Chiesa di Roma), con i soli obblighi di migliorarlo e di pagare al proprietario del fondo (sempre la Chiesa di Roma) un canone, detto canone Enfiteutico, in denaro o in natura. L’enfiteusi è un diritto reale perpetuo, se non stabilito nella modalità ventennale, pertanto si estingue solo per Affrancazione: l’enfiteuta paga una somma per acquisire la proprietà del terreno da lui utilizzato ma fino a quel momento di proprietà del Clero; o per Devoluzione: il concedente (Vaticano) riprende la piena proprietà e il pieno possesso del fondo interrompendo il rapporto con l’enfiteuta. La Devoluzione scatta anche quando sussiste il mancato pagamento dei canoni Enfiteutici. L’unica vera metodologia di estinzione naturale è la scadenza del termine a tempo determinato, quello di 20 anni, ma a quei tempi la fame era molta e di contratti del genere se ne facevano davvero pochi.
Per facilitare la comprensione del tutto, “equiparate” forzatamente l’Enfiteusi al semplice contratto di locazione (chiedo scusa agli avvocati per la similitudine pressochè blasfema) che si instaura tra locatore e locatario, con il solo distinguo che l’Enfiteusi se non ventennale è perpetua e non si prescrive. Il punto: Prima che l’Italia si unificasse, il centro dello stivale era governato dallo Stato della Chiesa. La quasi totalità dei terreni sparsi su Umbria, Toscana, Lazio, Marche e piccole parti di altre regioni, erano in capo (proprietà) all’attuale Stato Città del Vaticano. A quei tempi la necessità del cibo portava i cittadini a chiedere l’utilizzo di alcuni “lotti vaticani” sovente inutilizzati dal Clero. Dai sacri palazzi si cedevano questi appezzamenti per mezzo di un istituto chiamato Enfiteusi. In tal modo i cittadini acquisivano il diritto di coltivare il fondo in cambio di preservare lo stesso e pagare alla Chiesa un determinato canone Enfiteutico. Col tempo questo istituto si è “perso”, nessuno ne ha più parlato, la Chiesa per prima. L’ignoranza della popolazione civile presa purtroppo a badare ad altro non era al corrente della perpetuità di questo diritto.
L’Italia nel frattempo si è prima di tutto unificata, poi si è industrializzata dopo periodi politici travagliati. Intanto nel corso di decenni e forse secoli, col dimenticatoio a portata di mano su questi terreni si è edificato (a volte sono addirittura passati al pubblico), e la Chiesa, sempre per decenni e forse secoli, non ha fatto menzione dei suoi vecchi appezzamenti. Nel 2002 la sorpresa. Avvalendosi di uno dei principali caratteri dell’Enfiteusi, la perpetuità, lo Stato Città del Vaticano chiede a moltissimi cittadini il versamento di tutti i canoni non pagati dai loro discendenti che hanno, originariamente o meno, instaurato il rapporto di Enfiteusi e che nel tempo non hanno affrancato. La Chiesa sostanzialmente reputa quei terreni come propri e i cittadini come abusivi.
Non solo: intima agli stessi di scegliere al più presto tra Affrancazione o Devoluzione senza rimandi di tempo. In fondo al Vaticano quei terreni servono in modo urgente, come a dimenticare i secoli di silenzio e anonimato.
Cosa accade: il semplice cittadino che credeva nella proprietà del terreno in suo possesso magari passato di generazione in generazione, sul quale per ipotesi viveva e dove (sempre per ipotesi) aveva faticosamente costruito un manufatto edile, non sapeva in realtà di non essere il vero proprietario (grazie all’Enfiteusi il vero proprietario era ancora lo Stato del Vaticano), ma di assurgere a semplice enfiteuta; in pratica come un normale locatario nel rapporto di locazione (tenete a mente la forzatura blasfema).
A molte famiglie non è rimasto che sostenere onerosi pagamenti di canoni enfiteutici arretrati per appropriarsi di terreni ed edifici sui quali vivevano e che credevano propri. I canoni sovente sono stati sviluppati sommando spese come 15 lire per l’anno 1850 (più interessi moratori), altre 150 lire per l’anno 1916, in più la maxi spesa relativa all’affrancazione (per divenire cioè, realmente proprietari). I costi sostenuti sono stati spesso ingenti perché il valore del terreno si è da subito rapportato alla sua eventuale cubatura, e qualora fosse stato presente un immobile, il prezzo dell’affrancazione sarebbe salito ancora. Una volta sommati i costi dell’atto notarile di affrancazione, le spese diventarono mostruose per molta gente.
Qualcuno dissanguato dalle spese abnormi ha lasciato andare in devoluzione il bene riconsegnando il terreno (e in qualche caso anche il tetto) alla Chiesa che magari avrà venduto quei beni a prezzi di mercato. Altri, la maggioranza, hanno affrancato. Qualcuno si indignò, fece causa, purtroppo in modo insensato. L’Enfiteusi è perpetua e come tale non si applica l’Usucapione. La Chiesa grazie anche al catasto Vaticano (nulla a che vedere col catasto Repubblicano) cadde in piedi, moltissimi cittadini grazie alla compartecipazione dei notai caddero dalle nuvole facendosi molto male. Vidi famiglie non benestanti pagare, scuotere la testa seppur colpevoli di niente, semmai dell’ignoranza e della priorità delle necessità dei loro antenati.

[...]


Il blog dell'autore si chiama futuribilepassato.

venerdì 12 febbraio 2010

Chiarimento

Alcune delle persone che ho portato a conoscenza di questa vicenda, hanno avanzato dei dubbi: in sostanza mi si dice che se il terreno è nostro, allora l'IDSC non può pretendere un affitto, mentre se il terreno è della curia, allora è giusto che noi paghiamo l'affitto a prezzi di mercato.
Magari fosse così semplice: non è in gioco la proprietà del terreno, che lo Stato italiano riconosce a me e a mio fratello in parti uguali; infatti non si sta parlando di affitto ma di enfiteusi.
Nei documenti catastali esiste da più di un secolo un vincolo secondo il quale chi lavora i terreni deve corrispondere una parte del raccolto, o una cifra equivalente, alla curia, e i vari patti e concordati danno a questo vincolo uno status "privilegiato" rispetto ad altre norme, tale per cui, ad esempio, non è possibile applicare l'usucapione.
Torno a ripetere di non essere un esperto, e non ho ancora consultato in modo approfondito un avvocato, ma la sostanza dovrebbe essere questa: se comunque c'è qualcuno che può fornirmi, anche qui, dettagli più precisi ne sarei molto felice.
In ogni caso il fatto che fossimo a conoscenza del vincolo, e non abbiamo mai riscattato la nostra posizione, ci mette dalla parte del torto.
Ma le circostanze che potete leggere nel post del 10 febbraio (che potete rileggere cliccando qui) rendono, a mio avviso, questa richiesta un'estorsione legalizzata.
Dovrebbe essere il semplice buon senso a far arrivare chiunque a questa conclusione.

Prudenza

Leggendo meglio la raccomandata, pare che ci dobbiamo ritenere anche fortunati, in quanto avrebbero potuto chiederci anche tre volte tanto, nel mio caso circa 3500 all'anno!
La chiamano "prudenza" ed è una delle Virtù cardinali.
La somma per il riscatto invece dovrebbe essere 15 volte il canone, quindi circa € 17000 nel caso di calcolo "prudente".

giovedì 11 febbraio 2010

È già tutto sin troppo chiaro

Scrivo ad un noto quotidiano locale on line, che mi risponde che hanno già trattato l'argomento qui.
Naturalmente ero a conoscenza dei fatti riportati nell'articolo ma come ho già scritto ieri, non ho parteciapato alla riunione di cui si riferisce.
Mi sembra che i "colloqui chiarificatori" di cui parla tale Rabottini dell'IDSC siano più che altro degli inviti a trattare: sembra quasi che abbiano ordito trappole ventilando cifre spropositate, e adesso siano in attesa di vedere quanto riescono a mungere.

mercoledì 10 febbraio 2010

Raccomandata A.R.

I miei genitori sono emigrati in Australia nel 1960, e lì hanno soggiornato per circa 10 anni. Il loro obiettivo era quello di lavorare, guadagnare e risparmiare abbastanza da poter tornare in Italia e acquistare un terreno sul quale costruire una casa.
In Australia hanno lavorato come operai e trasportatori, ma qui in Italia la mia è sempre stata una famiglia di agricoltori, e quindi sul terreno che hanno infine acquistato, con i risparmi accumulati in quasi 10 anni di duro lavoro, hanno vissuto coltivando uva, olivo e frutta.
Negli anni settanta, negli ottanta e forse anche nei primi novanta il mestiere era duro, ma redditizio, abbastanza comunque per permettere ai figli di studiare con tranquillità.
Oggi l'attività, dopo che mio padre è venuto a mancare nel 1994, è condotta da mio fratello maggiore, ma le condizioni economiche delle imprese agricole non sono più quelle di una volta.
Io ho conseguito una laurea in ingegneria, e attualmente lavoro come impiegato in un'azienda di informatica: stipendio medio.
Proprio in questo periodo mi accingo ad accendere un mutuo per ristrutturare la casa che i miei costruirono alla fine degli anni 60; mio fratello abita nella casa a fianco, costruita da mio padre negli anni 80.
Stasera tornando a casa dall'ufficio ho trovato una raccomandata.
L'Istituto Diocesano per il sostentamento del Clero dell'Arcidiocesi di Chieti - Vasto vuole da me € 1.170,57, e altrettanti da mio fratello. Vi prego di leggere con attenzione le prime due righe, nelle quali l'Istituto ci informa che il nostro terreno è di sua proprietà.
Nel 1995 siamo venuti a conoscenza dell'esistenza del canone che grava sui nostri terreni, in termine tecnico si chiama “enfiteusi”. Non sono un esperto, e quanto scriverò nel seguito potrebbe essere inesatto, ma la sostanza c'è. Nei secoli scorsi, i contadini del mio paese riconoscevano al clero, come tributo, una parte del raccolto in natura; non saprei se la gabella derivasse dal fatto che i terreni fossero di proprietà della Chiesa, che consentiva ai contadini di coltivarla, ma in ogni caso con l'unità d'Italia la terra è (giustamente) entrata in possesso di coloro che la lavoravano.
Purtroppo però i Patti Lateranensi e il Concordato del 1984 hanno reintrodotto e confermato il balzello, sottoforma, appunto, di enfiteusi, ossia di diritto reale di godimento su una proprietà altrui.
Alla fine degli anni 60, per il terreno dei miei genitori, il tributo ammontava all'equivalente di un quintale di grano o giù di lì. La posizione si sarebbe potuta riscattare, ma ciò avrebbe comportato la rivalutazione del tributo, e l'esborso di una somma consistente.
Fino alla morte di mio padre non ci è mai stato richiesto nessun pagamento: le pratiche di successione hanno riportato alla luce il vincolo, e i pagamenti partono dal 1995.
Nel nostro caso i terreni sono intestati ad entrambi, ma tra me e mio fratello c'è l'accordo tacito che di queste cose se ne occupa lui, e da quello che so ha sempre continuato a pagare ogni anno circa €10. Ma da qualche mese in paese si sente parlare del fatto che la diocesi stesse rivalutando i canoni; sono state fatte riunioni alle quali non ho potuto partecipare, e quello che percepisco da fuori è una sorta di rassegnazione, la volontà di cercare un accordo, una trattativa, magari sul prezzo: invece di pagare, che so, € 2000 all'anno, magari riusciamo a convincere il vescovo ad accontentarsi di soli € 500, chissà che non ci vada pure bene!
Io sono intenzionato a non pagare. Anzi aspetteri l'ufficiale giudiziario sulla soglia di casa. Lo farei entrare e gli offrirei un caffè. Dopodiché se si azzardasse a toccare qualcosa mi metterei di traverso. Resistenza passiva. Chiamerei i carabinieri, la polizia, l'esercito. Mi farei arrestare. Credo che però prima tenterò con un bravo avvocato.
Per il poco che vale mi piacerebbe comunque sollevare il caso, portarlo all'attenzione dei media.
In ogni caso la prossima volta che sentite il Papa parlare di crisi, di sostegno ai lavoratori, pensate a me, a mio fratello, e ai tanti ai quali la Chiesa chiede di corrispondere uno stipendio medio italiano all'anno.
E tutto perché trecento anni fa, i contadini che si spezzavano la schiena nei campi che erano dove adesso è casa mia, versavano al clero un sudatissimo quintale di grano ogni anno.